Great Wall Marathon – 17 Maggio 2014

La prima volta che ho sentito parlare della Great Wall Marathon è stato più di un anno fa dal mio amico Roberto (depositario del copyright della celeberrima Tattica Di Piano: “parti a palla!”). Trasferitomi a Jakarta, ho pensato che Beijing non sarebbe stato poi cosi lontano (“non cosi lontano” si sarebbe poi rivelato un volo di circa sette ore e mezza) e ho deciso di buttarmi. Great Wall Marathon sia!

Giunti sul posto si ha subito la percezione che la manifestazione sia organizzata in maniera impeccabile dalla Adventure Marathons (Danimarca). Provvidenzialmente, gli organizzatori hanno previsto una ricognizione del percorso due giorni prima della gara allo scopo di far saggiare ai partecipanti la realtà di correre sulla Grande Muraglia. Durante questo sopralluogo, risulta subito evidentissimo come l’imperatore Qin Shi Huang, quando ha dato inizio alla costruzione della Muraglia, l’avesse pensata per difendersi dalle invasioni mongole e non sospettava che più di 2200 anni dopo qualche mentecatto avrebbe potuto pensare di correrci sopra. Infatti sulla maggior parte della Muraglia risulta pressoché impossibile correre e questo è essenzialmente dovuto a due fattori. Primo la conformazione dei gradini che è assolutamente irregolare sia in altezza che in profondità: vi si alternano quindi piccole asperità alte solo qualche centimetro e profonde un paio di passi con assurdi gradini alti fino al ginocchio su cui è astento possibile appoggiare completamente il piede, oppure un mix delle due cose. In secondo luogo le pendenze che sono assolutamente irragionevoli, di gran lunga più vicine a un trail o a una skyrace che a una corsa su strada, quale in effetti la Great Wall Marathon non è. Dopo la ricognizione si ha pienamente (e dolorosamente) coscienza del fatto che i 5’164 gradini dello slogan (“5’164 Steps into History”) non saranno una passeggiata.

Arrivato il giorno della gara sulla linea di partenza la tensione come sempre sale, perché siamo comunque al cospetto della “Regina delle Distanze”. La cosa positiva è che so cosa mi aspetta, quella negativa…è che purtroppo so cosa mi aspetta! Dopo un interminabile discorso di svariate autorità locali di cui non capiamo una singola parola, siamo pronti per lo sparo che darà il via all’avventura e che arriva puntuale alle 7.30.

La prima parte di gara consiste in un primo loop da percorrere sulla Grande Muraglia. Dopo qualche chilometro di tornanti in salita si arriva ad affrontare la prima scalata alla Muraglia passando da 220 a 520 metri di quota, punto più alto della corsa. Da questo punto una ripidissima discesa, sempre sulla Muraglia, ci riporta a transitare in zona partenza/arrivo per incominciare il lungo tratto che si snoda tra i villaggi della Cina rurale. L’idea di dover in seguito ripercorrere questo tratto in senso inverso mi mette i brividi, ma preferisco non pensarci troppo e concentrarmi su questi chilometri di corsa “vera”.

Sebbene questi chilometri (circa 26) non vengano corsi sulla Muraglia (per fortuna, mi sento di aggiungere), regalano delle emozioni travolgenti, pari e forse maggiori di quelle della Muraglia stessa. La gente di questi villaggi si è letteralmente riversata sulle strade per vedere transitare questo gregge di runner amatoriali, con l’entusiasmo del pubblico della maratona olimpica. Gli adulti si portano le seggiole da casa, mentre i bambini tendono la mano per ricevere “il cinque” e ci incitano con quelle poche parole di inglese che conoscono riempiendoci il cuore di emozioni e le gambe di energie. Anche in questa parte di gara le salite non mancano anche se complessivamente meno impegnative rispetto a quelle percorse (e ancora da percorrere) sulla Muraglia.

Il dramma vero (sportivamente parlando) si raggiunge al chilometro 33 quando, una volta ripassati nella zona partenza/arrivo, bisogna affrontare la seconda scalata alla Grande Muraglia. La parte indubbiamente più dura dell’intera corsa è quindi da affrontare in corrispondenza del famigerato muro tanto “caro” a tutti i maratoneti. Questo secondo loop viene affrontato in maniera inversa rispetto al primo e comincia con due chilometri e mezzo circa di abominevole salita a gradini con una pendenza media vicina al 10%. Giusto per avere un raffronto, la salita che porta da Mercurago all’ingresso del Parco dei Lagoni è lunga circa un chilometro ed ha una pendenza media del 4.5%. I famigerati gradini in questo tratto sembrano un campo di battaglia con decine di persone sedute o accasciate, ma prontamente soccorse dallo staff medico fatto arrivare direttamente dalla Danimarca. Nonostante tutto non sembrano molti quelli che sono davvero costretti a gettare la spugna. I più rifiatano per qualche minuto, ingurgitano qualche gel e riprendono la sofferenza verso il punto piu alto. A quel punto resteranno “solo” 5 chilometri di discesa. Durante la salita incontro diversi amici conosciuti durante la vacanza e cerco di incoraggiarli a non mollare, ma quegli stessi incoraggiamenti sono rivolti piu a me stesso che a loro perché ho le vertigini e le gambe in condizioni preoccupanti. Nonostante sia veramente vicino al collasso ogni volta che incrocio i fotografi mi tocca sfoggiare un sorriso da aperitivo al Marconi Beach, quando in realtà vorrei potermi lasciar morire li sul selciato. Sfortunatamente i fotografi sono una quantità oltraggiosa e sono sadicamente dispiegati lungo i tratti più impervi. Arrivato faticosamente (e dolorosamente) al punto più alto (alla fine saranno circa 1100 i metri di dislivello positivo), affronto la discesa lungo gli ultimi chilometri e inizia a farsi strada nella mia mente l’idea che probabilmente riuscirò a sopravvivere anche questa volta.

Ciò si avvera quando entro nella Yin and Yang Square e sento annunciare il mio nome seguito dalla parola “Italy” che suscita subito un moto di tifo. Una volta passato sul traguardo un gigante danese mi mette al collo l’agognata medaglia del peso e dimensioni di un lingotto di piombo e mi abbraccia incurante del fatto che anche la mia maglietta ha appena concluso una maratona e ci sono circa 30 gradi e li ancora una volta, con gli occhi luccicanti, riesco a farfugliare “ce l’ho fatta!”. Lui ovviamente non capisce una parola (io nemmeno capisco la sua risposta), ma mi stringe più forte perché indubbiamente ha capito il linguaggio universale delle emozioni.

Iacopo Trattenero

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